ESTRATTO DI FEBBRE ROSA
Manuel e Camilla scelsero un tavolo da due ad una
decina di metri dalla zona centrale.
“Hai visto?”
Le chiese Manuel accennando con lo sguardo al barman.
“Sì.”
“Cosa conti di
fare?”
“Semplicemente di
sedermi al bancone, ordinare qualcosa da bere e chiedere di
Guglielmo.”
“Non fa una piega,
andiamo allora!”
Rispose, galvanizzato dall'atmosfera di quel locale
pazzesco.
Camilla ordinò un bicchiere di spumante, mentre Manuel
una caipiroska alla menta. Per alcuni minuti imbastirono una
conversazione fittizia, quindi Camilla approfittò di un momento in
cui il barman non era impegnato per richiamare la sua attenzione.
“Devo parlare con
Guglielmo.”
L'impassibilità sembrava una prerogativa
imprescindibile del personale impiegato al Parsifal eppure Camilla fu
quasi sicura di scorgere un lampo negli occhi dell'uomo, che tuttavia
si limitò ad ignorarla, come non avesse sentito.
“A proposito di
Veronica!”
Si sporse in avanti Camilla, a denti stretti e
impennando sensibilmente il tono di voce. Quegli, che poteva avere
all'incirca una quarantina d'anni, prese un panno, lo sventolò, o
per meglio dire sbatté sulla porzione di bancone in corrispondenza
dei due, facendosi schermo agli occhi degli altri avventori di quel
gesto consueto per rispondere alla ragazza senza destare curiosità.
“E tu sei?”
“Mi chiamo Camilla.
Sono un'amica di Veronica.”
“Un minuto.”
Praticamente mimetizzato nella struttura del bar c'era
un interfono, l'uomo vi avvicinò le labbra, parlò, quindi rimase in
attesa o in ascolto per un paio di minuti, prima di tornare
nuovamente ai due inaspettati avventori.
“Vedi quella porta
gialla là in fondo?”
Le indicò con un dito.
Camilla annuì.
“È
un ascensore. Digita l'ultimo piano, ma vai tu sola.”
“Questa cosa non mi
sta per niente bene.”
Protestò Manuel.
“No, invece è
meglio” lo rassicurò Camilla. “così nel giro di un'ora, se non
senti mie notizie, chiama la polizia.”
Manuel ci rifletté qualche secondo e concordò sul
fatto che non salire insieme fosse la scelta più appropriata.
“Ok, ma lascia
andare me.”
Camilla scosse la testa risoluta.
“No, non insistere.
È
una cosa che devo fare io.”
“Sei proprio
cocciuta” sospirò Manuel. “Sii prudente.”
“Contaci.”
Camilla gli sfiorò le labbra con un bacio e si
incamminò con passo fermo verso il fondo della sala.
Manuel ordinò una seconda caipiroska e andò a sedersi
in un tavolino vicino al corridoio che conduceva all'uscita: per
qualche strana ragione l'idea di restarsene ad aspettare il ritorno
di Camilla al bancone lo metteva a disagio, mentre così avrebbe
ottimizzato al meglio quell'attesa obbligata godendo dell'atmosfera
del locale, carica di elementi meritevoli su cui sorvolare la propria
attenzione, specialmente se gradevolmente alterata, infatti per
quanto trovasse irritante l'atteggiamento snob del barista doveva
dargli atto di saper preparare dei drink superbi.
Tornando ad una panoramica degli elementi che blandivano
le percezioni dell'avventore era da annoverare certamente la musica,
che si diffondeva compatta in ogni punto della sala, allo stesso
tempo mai invasiva, moderna, crepitante di suoni campionati animati
da un ordito di armonie profonde e soavi, che arrivavano al cuore
dell'ascoltatore facendolo sentire partecipe di un'epica grandezza.
Per quanto Manuel fosse soddisfatto del suo fidanzamento
con Camilla non avrebbe potuto, inoltre, ignorare tutte quelle
bellezze, irresistibili come il canto della sirena, nello specifico
le cameriere, ma per attitudine e vestiti sarebbe stato più
opportuno definirle assistenti di sala, turbavano in ragione dei loro
corpi come per la leggiadria dei visi, esercitando quindi
un'attrazione bivalente, sia fisica che cerebrale.
Una si fermò in corrispondenza del tavolo di Manuel.
“Ciao, desideri
qualcos'altro?”
Stupì nell'avvertire tanta disperazione nella voce.
“Io...io...”
“Hai finito il tuo
drink,” storse le labbra in una smorfia che, per quanto sgraziata
fosse, non avrebbe mai potuto intaccare l'intrinseca avvenenza
dell'insieme. “Ne vuoi un altro?”
Manuel ci riflesse un attimo.
“Credo di no,”
rispose. “sono a posto così.”
“Sei venuto con
quella ragazzina, vero? Quella salita all'ultimo piano.”
Manuel si fece d'improvviso attento.
“Perché?”
“Se vuoi che mi
sieda a parlare con te devi ordinare da bere, per entrambi.”
Manuel parve non capire.
“Perché?”
“Perché questo è
quello che faccio.”
Di nuovo quella nota disperata nella voce. Manuel si
chiese quanti anni avesse, sembrava poco più che ventenne, ma a
guardarla meglio avrebbe anche potuto portarne una trentina.
“D'accordo.”
Acconsentì. La vide incamminarsi con eleganza verso il
centro della sala, continuò ad osservarla con la massima attenzione
trasmettere gli ordini al barista e quest'ultimo eseguirli con la
solita noncurante precisione, prima di poggiarli su un vassoio.
Tornata da Manuel mise il vassoio sul tavolo e si
sedette di fronte a lui.
“Per me ho preso un
long island, per te caipiroska, spero di aver fatto bene, qui c'è lo
scontrino.”
Proferì tutto d'un fiato, prima di avvicinarsi alle
labbra il drink per un lungo e lento sorso.
“Ok, dimmi di
Guglielmo.”
“Cosa?!” squittì
guardandosi intorno circospetta, come se qualcuno potesse sentirla.
“Sei pazzo? Vuoi farmi ammazzare?!”
Manuel si sporse in avanti come volesse sussurrarle una
parola gentile all'orecchio.
“Io voglio sapere se
la ragazza che era con me si trova in pericolo.”
“Certo che lo è,”
annuì tormentandosi nervosamente una ciocca dei lisci capelli
castani. “non lo immagini neppure in che guaio l'hai cacciata.”
“Io non l'ho
cacciata in nessun guaio!”
“Non alzare la voce”
lo ammonì con sguardo torvo, “sto cercando di aiutarti.”
Manuel trasse un profondo sospiro, sentendoselo vibrare
in petto per la tensione.
“Va bene, senti,
calmiamoci un istante... come ti chiami?”
“Eleonora.”
“Perfetto, ascolta
Eleonora, se tu non mi dici, tipo subito, che cosa succede, io chiamo
la polizia in questo preciso istante” minacciò buttando giù
subito dopo mezza caipiroska per raffreddare i nervi. “Non saprei
essere più chiaro di così.”
“Tu continui a non
avere la più pallida idea” scoprì la bocca nella sofferta
caricatura di un sorriso, “questo locale si trova in una delle vie
più importanti di Roma eppure formalmente non esiste, è come se
fosse invisibile, perché non provi a chiederti come sia possibile?
Di che protezioni gode secondo te?”
“Invisibile fino a
un certo punto” replicò Manuel, tirando fuori lo smartphone di
tasca, “noi l'abbiamo trovato, e comunque mi sono rotto il cazzo,
io chiamo!”
“Fallo e non solo la
tua ragazza, ma anche tu morirai in meno di un'ora.”
Manuel scoppiò a ridere.
“Tu sei matta. Bella
come un dio, ma matta da legare. Ti rendi conto di quello che dici?”
“Sì, bella come un
dio, ma soprattutto stupida come un angelo se mi do tanto sbattimento
per aiutare uno ancora più stupido di me!” si imporporò di
rabbia. “Io ormai sono perduta, ma ancora qualcosa la posso fare,
ed è salvare quella ragazzina!”
Manuel iniziava a sentirsi frastornato.
“Come?”
“Finalmente ti sei
deciso ad aprire le orecchie” esultò. “Camilla non si trova più
qui e tra breve farà la stessa fine di Veronica.”
“Dove si trova?
Dove, ti prego dimmelo...”
La sua voce si era rotta in un piagnucolio.
“Datti un contegno,
cazzo!” lo redarguì con espressione terribile. “In uno degli
appartamenti di Guglielmo, conosco i loro movimenti e so per certo
che adesso è lasciata incustodita, ma abbiamo sì e no venti minuti
per liberarla, poi sarà troppo tardi!”
“Ma tu sai dov'è?”
Senza poter frenare le lacrime che avevano cominciato a
rigargli il viso copiose, inarrestabili.
“Muoviamoci.”
Disse alzandosi, quindi lo afferrò per mano e a grandi
passi si affrettarono verso l'uscita. In macchina Manuel prese a
leccarle le gambe.
“Bella come un dio,
bella come un dio...”
Sospirava in deliquio.
“Sei proprio un
porco” lo rimproverò sprezzante. “Non pensi a Camilla?”
Si ritrovò catapultato sul divano a quadri di un
soggiorno affogato nella penombra, di fronte a lui la sua
accompagnatrice estrasse il telefonino dalla pochette, digitò e se
lo portò alla guancia. Anzi, il soggiorno affogava sempre più nella
penombra, osservava vagamente incuriosito Manuel...
“Come facevi a
saperlo?”
“Cosa?”
“Come si chiama la
mia ragazza, io non te l'ho detto. Come conosci il suo nome?”
“Che ti importa?
Tanto stai per crepare.”
“Perché?”
Rise stupidamente.
“Alla buon'ora!
Quanto cazzo ci mettete a rispondere?!” sbottò la donna inveendo
contro il cellulare. “Certo che è qui... mancheranno cinque minuti
al massimo.”
“Non riesco a
muovermi” constatò Manuel con ovattato stupore, “neppure un
dito, ci credi amore? Neanche un dito...”
Chissà perché gli tornò in mente la terza caipiroska,
quella che gli aveva servito Eleonora... un dettaglio senza
importanza, concluse in balia di uno sfinimento nauseante, ma si
chiamava veramente Eleonora, poi? Chi se ne frega, voglio
addormentarmi e basta, vaffanculo tutto, biascicava dentro di sé...
“Ecco se ne sta
andando, proprio ora” la udiva a malapena ormai, “e non vi
azzardate a lasciarmelo marcire in casa tre giorni come l'ultima
volta, chiaro?!”
L'ultima immagine
che Manuel distinse fu quel demonio che lo sfotteva facendogli “ciao,
ciao” con la mano, poi morì.
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