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E come suo padre prima di lei, rispose al dolore tracannandosi tutto
quello che le restava nel portafogli, per giorni, fino a che non si
ritrovò senza più nulla in tasca a barcollare ubriaca sul
lungotevere, in balia di una notte vorticante come una giostra
impazzita. Dopo minuti, o forse ore, stesa su un fianco contemplava
ipnotizzata il riflesso del plenilunio sull'acqua torbida. Fu colta
da un ennesimo conato, si sporse e rigettò, per poi girarsi supina
ad ansimare.
“Sono finita.”
“Non vorrai mica buttarti nel
fiume?”
Un viso tondo e paffuto, con un sorriso piacevole, si era
improvvisamente intromesso nell'instabilità ondeggiante del suo
campo visivo. Iris strizzò gli occhi, ma il volto era ancora lì, a
fissarla con bonarietà.
“E a te che importa?”
Gracchiò voltandosi a sputare un grumo.
“Ho pensato che avessi bisogno di
aiuto.”
“Non ho bisogno di nulla, grazie.”
“Sei sicura?”
“Certo.”
Iris, non senza fatica, si alzò con l'intenzione di allontanarsi.
Ma tu guarda se una non può neppure vomitare l'anima in santa
pace senza che qualche maniaco subito si avvicini, che razza di
mondo.
“Ho detto che sto bene” ribadì
perentoria. Eppure, guardandolo con più attenzione, non le dava
l'impressione di un maniaco, era vestito in modo strambo, questo sì,
con una specie di kimono dai colori sgargianti, ma non sembrava
affatto pericoloso, anzi ispirava fiducia. “Lasciami stare.”
“Non te la stai passando
benissimo, vero?”
E parlava così dolce, sembrava un padre, ma non come ciuco,
piuttosto come Iris immaginava dovesse parlare un padre a una figlia.
Quella voce ti rimetteva la speranza nel petto e pacificava l'anima.
Era così bella.
“Direi proprio di no” disse Iris
piegandosi in due, i palmi appoggiati sulle ginocchia, “allontanati,
se non vuoi che ti vomiti addosso.”
Ma lentamente avvertì la nausea che le premeva contro la gola
ritirarsi, il respiro tornò regolare e il mondo recuperò una certa
saldezza; assaporò, inoltre, qualche gradevole sensazione, come
quella di leggeri sbuffi di vento ad asciugarle il sudore dalla
fronte e dal collo, o il placido gorgoglio della corrente a frenare
il ritmo compulsivo dei pensieri. Iris rizzò la schiena e contemplò,
contro la luna piena, stagliarsi la sagoma imponente del Ponte Rotto,
la cui visione, oltre a ricordarle dove fosse, per qualche enigmatica
ragione la incantò, poi si girò e vide quel curioso individuo
ancora lì, in paziente attesa.
“Starò impazzendo, ma credo che
tu sia speciale.”
A quelle parole il sorriso di Shadì si spalancò ancora di più.
“Anch'io penso che tu sia
speciale.”
Rispose con un lampo negli occhi.
“Non è questo che intendo. Ho
l'impressione che tu sia qui perché puoi fare qualcosa per me”
scandì lentamente. “Qualcosa che nessun altro potrebbe fare.”
Shadi attenuò il proprio sorriso e lo sguardo gli si fece d'un
tratto penetrante. Per un intero minuto Iris si sentì rovistare tra
le pieghe più profonde del suo intimo. Non era solo una sensazione:
le stava davvero guardando dentro. Fu incredibile, e allo stesso
tempo spaventoso.
“Vieni, torniamo su.”
Disse infine, tornando a distendere l'espressione. Nel risalire la
gradinata del muraglione, come se stesse lasciando un confortevole
limbo, Iris si sentì attanagliare dall'ansia. Shadi le posò una
mano sulla spalla. A Iris non piaceva essere toccata, ma il contatto
di quelle dita lunghe e affusolate non la urtò, anzi le infuse
coraggio.
“Ho un piccolo negozio di oggetti
curiosi, a pochi passi da qui, ti va di darci un'occhiata?”
“Perchè?”
“Forse perché ci hai visto
giusto. Forse perché posso effettivamente fare qualcosa per
aiutarti, qualcosa che nessun altro potrebbe fare.”
Quando furono al cospetto della porta rossa, Shadi le indicò il
pesante volume sul leggio e disse: “Se tu scrivessi una data e
un'ora qualsiasi su quel libro, e poi uscissi dalla porta rossa, ti
ritroveresti a vivere quel momento.”
“Che momento?”
Chiese Iris con voce sorda, nel silenzio che regnava insopportabile.
“Il momento da te segnato sul
libro. Quello che avrebbe potuto cambiare il tuo destino.”
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